domenica 30 novembre 2008

Social card, solo obiezioni ideologiche?

La prima questione riguarda i destinatari della carta e soprattutto i criteri per individuarli: anziani e famiglie con bambini con Isee non superiore a 6.000 euro, dice il provvedimento annunciato dal governo. “Gli ultimi degli ultimi”, ha spiegato il ministro Sacconi, “quelli di cui – ha aggiunto – non si era mai occupato nessuno”. Il fatto è che individuare, e in un lasso di tempo così breve, chi siano gli ultimi i cui tratti rientrino nel profilo disegnato dal “riccometro”, non è una operazione agevole come le numerose analisi sugli effetti equitativi dell’applicazione di questo misuratore (introdotto dal primo governo Prodi) hanno ampiamente dimostrato. Il rischio, denunciato da molti amministratori e funzionari degli assessorati sociali degli enti locali che hanno adottato il sistema, è di ammettere al godimento del beneficio chi non ne ha bisogno: chi dichiara dati di reddito e di patrimonio non veritieri, ma anche chi – ne chiarisce il perché Raffaele Tangorra in uno dei saggi sul decennale della commissione Onofri (La riforma del Welfare, Il Mulino, 2008) – per il gioco delle franchigie sul patrimonio e per il meccanismo delle esenzioni si vede attribuiti valori Isee inferiori all’effettiva consistenza della sua situazione economica. Bisogna stare attenti. Quando si erogano prestazioni sociali universali e selettive, di qualunque tipo esse siano, senza che a queste si accompagni una qualche forma di controprestazione che motivi, o legittimi, la meritevolezza di chi le riceve, l’effetto che si consegue è contrario a quello che si vuole: si punta alla coesione sociale e si ottiene la frantumazione delle comunità; si cerca di innescare meccanismi di solidarietà e si determinano invidia e astiosità sociale. Per superare l’obiezione è pertanto indispensabile l’esercizio di un controllo attento sul possesso dei requisiti che rinvia a un apparato amministrativo (e a un costo) da predisporre con una cura che, stando alle informazioni di cui disponiamo, non pare sia quella dimostrata nell’occasione dal governo.

La seconda questione, di cui si è parlato (da segnalare l’efficacissima e bruciante indignazione di Massimo Gramellini su La Stampa) ma su cui è utile tornare più distesamente, è quella che possiamo definire dello stigma sociale connesso all’utilizzazione della Carta; ciò che essa comporta in termini di rappresentazione sociale di se stessi e della propria esistenza ogni qual volta se ne faccia esibizione ed uso, in un supermercato per acquistare un pacco di pasta o in un ufficio postale per pagare la bolletta elettrica o del gas. È come se ogni volta, hanno notato da sempre i sociologi attenti a implicazioni di tale natura, quest’atto di ostentazione della propria povertà si accompagnasse a un’ammissione di sconfitta, all’esplicita dichiarazione di una propria insufficienza, sollecitando il temuto, pubblico, riecheggiamento del rancoroso rimbrotto di Pinocchio al gatto e alla volpe “se siete poveri ve lo meritate”. Lo stigma, appunto, che gli studiosi americani hanno osservato nell’esperienza del food stamp, e che è un elemento da non trascurare quando si intenda valutare con serietà e senza pregiudizi ideologici l’efficacia del mezzo prescelto e la sua congruità rispetto agli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Negli Stati Uniti (lo rileva uno studio del 2002, citato da Luca Beltrametti nel suo essenziale Vouchers. Presupposti, usi, abusi, Il Mulino, 2004) “il tasso medio di partecipazione”, e cioè il rapporto tra numero dei beneficiari del programma e numero dei potenziali aventi diritto era a fine 2000 pari al 59%, con valori oscillanti tra Stato e Stato compresi tra il 50 e il 70%. C’è dunque chi rifiuta lo stigma, pur essendo povero (fenomeno, del resto, già noto nel medioevo dove forse pudori di tal fatta erano meno sollecitati dal contesto sociale) ed è disposto a pagare un prezzo al rispetto che ha il diritto di pretendejavascript:void(0)re dagli altri.

tratto da rassegna

1 commento:

Gianfranco Leonelli ha detto...

Questo Governo ci ha insegnato che procede utilizzando due fasi ben distinte : la prima è di effetto mediatico, la seconda di effetto reale. Prendiamo per esempio l'eliminazione dell'ICI per i ricchi e vediamo quanti effetti negativi sono piombati addosso alla classe media. Anche in questo caso, cosa dovrà pagare la classe media in cambio di questo provvedimento a favore dei poveri? Mi sa tanto che ,se continua così, Berlusconi ha deciso di far pagare la crisi alla classe media.